Sulla pagina web di "Piemonte Sport", a firma di Federica Fossi, è apparsa un'interessante intervista a Maurizio Ferrarese, alessandrino d'adozione, che ha approfondito diversi importanti concetti relativi allo stato attuale e alle potenzialità del calcio femminile.
La riproponiamo augurandoci di offrire un parere competente e particolarmente significativo.
Maurizio Ferrarese, ex calciatore di Torino (con il quale ha vinto
un campionato di Serie B e una Coppa Italia), Alessandria e Vicenza, e
attuale Responsabile Tecnico del Moncalieri Calcio femminile (Serie C), è
intervenuto ai microfoni di Piemonte Sport per esprimere la sua
opinione in merito al calcio femminile.
Perché, secondo lei, alcuni paesi europei sono più avanti ?
“Al
movimento italiano manca il vissuto: si cresce attraverso l’esperienza e
nel nostro paese siamo partiti in ritardo nel crederci, altre nazioni
sono più avanti perché hanno iniziato prima di noi a investire nel
settore. Quello che ci vorrebbe davvero? Più forza economica, le ragazze
sono riuscite a ottenere il professionismo solo nel 2022″.
Che cosa manca al calcio femminile italiano?
Attualmente,
le calciatrici non possono permettersi di allenarsi 5/6 volte a
settimana, poiché subentra il lavoro, che è necessario per mantenersi:
il calcio non basta per vivere! Se tutte avessero la possibilità di
allenarsi con la giusta frequenza, dedicando la loro vita interamente
allo sport, si creerebbe una condizione in cui le ragazze, possono non
solo allenarsi nel modo corretto, ma anche aumentare il proprio livello
di gioco.
Se analizziamo bene la questione, i campionati di Serie
B e Serie C, negli ultimi anni sono diventati sempre più competitivi:
la motivazione è che vi sono squadre che possono permettersi di
allenarsi a partire dalle 14:00, per altre società non è possibile,
cause impegni di forza maggiore quale il lavoro. A fronte di queste
situazioni, le ragazze devono adattarsi e fare enormi sacrifici,
allenandosi alle 22:00 o chiedendo dei permessi per le trasferte”.
Il fattore tempo è la chiave?
“L’equazione
è molto semplice e non richiede grosse analisi: più ci si allena, più
si migliora; il campo parla una lingua semplice. Non si pensi che per
il calcio maschile la questione sia differente, la bravura personale è
un fattore importante, ma la qualità di un giocatore è spesso correlata
al tempo che dedica all’allenamento, alla preparazione e alla
dedizione”.
Molti definiscono il calcio femminile troppo noioso, perché?
“Sempre
per una questione di tempo! Le differenze ci sono, dettate dalla
natura, ma se parliamo di sport è solo la frequenza della preparazione; i
ragazzi, nel professionismo, hanno la possibilità di focalizzare la
loro intera vita sul calcio. Se consideriamo i dilettanti, invece, anche
il calcio maschile non è così divertente: non è una critica o una lotta
maschi-femminile, semplicemente anche i ragazzi, a quel livello, non
possono dedicare tutta la giornata ad allenarsi (ovviamente), e questo
ne determina il livello, indipendente dalle qualità del singolo”.
E per il futuro?
“Il
movimento si sta evolvendo, ed è sinonimo di un calcio che richiede
prestazioni sempre più importanti; le grandi gare si raggiungono solo
tramite il lavoro sul campo. A fronte di questo, sicuramente potrà
crescere anche l’attenzione del pubblico, e dei relativi sponsor, che
sarebbero più propensi a investire nelle società, partendo proprio dal
dilettantismo. La strada intrapresa è positiva, le ragazze meritano di
avere più spazio, per cui mi auguro che l’attenzione continui a
crescere; il calcio deve essere di tutti, indipendentemente da sesso,
religione o colore della pelle”.
Nessun commento:
Posta un commento