Heriberto Herrera
Non appena arriva alla Juve prorompe in una delle sue frasi che non ammettono replica: "Il merito di una vittoria va diviso per dodici, quello di una sconfitta anche. Se qualcuno si crede superiore agli altri, lo dimostri lavorando di più, senza pretendere di essere servito". E' praticamente una dichiarazione di guerra nei confronti di Sivori, col quale, in effetti, ingaggia una sorta di duello personale che porterà alla cessione del "cabezon". Non gli verrà mai perdonato, nè dai tifosi, nè dai giornalisti, che hanno identificato in Sivori il loro idolo. Anche quando riesce a vincere uno scudetto, dopo un'incredibile rimonta sui nerazzurri milanesi, non gli vengono concessi particolari onori. Eppure, grazie a quel suo carattere intransigente e serio, riesce a mettere fine alle continue liti capaci di spaccare in mille clan lo spogliatoio: lui crea un gruppo unito e compatto. Anche tecnicamente è molto valido, vero inventore di quello che verrà contrabbandato, anni dopo, come calcio all'olandese. In realtà si ispirerà al "movimiento" herreriano. Nella sua Juve segnano tutti, non ci sono prime donne, c'è spazio solo per grandi uomini.
LA "STORIA" DEL 1964
Scudetto col brivido, e anche con una buona dose di contestazioni assortite: il Bologna se lo aggiudica a Roma, nel corso di uno spareggio con Mazzola e compagni che lascia dietro di sè una lunga scia polemica. La Coppa Italia va alla Roma, mentre i grandi appuntamenti estivi non vedono gli italiani tra i protagonisti. Alle Olimpiadi di Tokyo rinunciamo perchè accusati di professionismo (e gli ungheresi che la vinceranno?), la Coppa Europa per Nazioni è appannaggio della Spagna, Denis Law è Pallone d'Oro. Ci pensano i nerazzurri di Milano a ridarci un po' di morale: prima si aggiudicano la Coppa dei Campioni, superando in finale i "mostri sacri" del Real Madrid con un super Mazzola, poi, a novembre, al termine di tre scontri al calor bianco, strappano l'Intercontinentale all'Independiente.
(Palla al Triso)
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