Un gettito fiscale di 3,3 miliardi di euro, un settore che incide con quasi 2,8 miliardi di euro per il 24 per cento sul Pil italiano e per il 37 per cento sull'indotto occupazionale, con quasi 50 mila posti di lavoro. Senza contare l'indotto turistico connesso, soprattutto alla Serie A e alle competizioni internazionali, pari a una spesa di 975 milioni di euro, di cui 162 milioni per l'alloggio, 389 milioni per le consumazioni nei pressi degli stadi, 98 milioni per i pasti consumati nei ristoranti tradizionali, 298 milioni nei trasporti e 30 milioni per lo shopping. Sono questi i numeri economici del calcio italiano, fonte inesauribile di entrate ma piuttosto "dimenticato" da chi detiene il potere (se non per essere sfruttato come passerella mediatica).
I tesserati FIGC ammontano a 1,4 milioni, di cui i calciatori sono l'1,1. Oltre 90 mila gli iscritti ai settori giovanili, numero questo che agisce in maniera forte come deterrente nei confronti dei coetanei dediti all'alcol, alle droghe o ai comportamenti delinquenziali. Rispetto agli anni del Covid si registra un aumento di 270 mila giocatori, senza contare l'importanza inclusiva del calcio per quei quasi 75.000 calciatori nati all'estero e provenienti da ben 154 paesi diversi che grazie alla pratica calcistica hanno potuto godere di programmi di accoglienza. Numeri che sottolineano quanto il calcio... tira.
A fronte di tutto ciò sarebbero auspicabili l'adozione di norme semplici da attuare, alla portata di dirigenti che sono, per lo più, volontari. Ancora una volta di più, ancora una volta con maggiore determinazione e convinzione occorre mettere mano a quelle riforme di un settore che può garantire tanto ma che langue tra norme osbolete (o comunuqe spesso non applicate), stadi ormai inadatti, mancanza di aiuti concreti a chi, alla base, garantisce il futuro dell'intero settore.
(Fonte "Indiscreto" - Guerin Sportivo)
(Palla al Triso)
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